Anancasmo è una narrazione fotografica in b/n, che si articola attraverso esterni ed interni,
descrivendo il disturbo ossessivo-compulsivo (l’anancasmo) per mezzo delle sue manifestazioni.
Gli ambienti, i luoghi e gli oggetti catturano, nel bene e nel male, l’attenzione dell’anancastico,
non importa dove egli si trovi o cosa stia succedendo intorno, l’anancastico è continuamente stuzzicato,
infastidito e sedotto dall’ordine e dal disordine del mondo. Chissà se dopo lo scatto fotografico l’anancastico
mette in ordine l’oggetto che lo ha sconvolto, oppure se, fotografarlo lo aiuta ad esorcizzarne l’ossessione,
o ancora se, col passare del tempo, tutto questo non diventi, per rassegnazione,
un’affezionata compagnia quotidiana.
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Roberta Baldaro, testo in catalogo "Anancasmo", Catania, 2004:
Mi congedo dall’auto con movimenti numerati, maneggiando le chiavi di casa in forte anticipo, mentre salgo le scale con
l’idea fissa di cadere e battere il mento sullo scalino. Uscendo da casa non ho potuto fare a meno di raddrizzare lo zerbino
davanti la porta. Al mio rientro, un piede incurante, lo aveva già sconvolto. So esattamente che qualcuno ha toccato i libri
sulla mensola, non trovando quel che cercava; che ha ma-neggiato l’asciugamano del bagno, dopo essersi lavato goffamente con il sapone; che si è seduto sul letto, passando sopra il tappeto. Adesso non riesco a leggere tutti i titoli sul dorso dei miei libri, alcuni, i più piccoli, sono oscurati da altri, i più voluminosi; l’asciugamano sembra un animale che si contorce aggrappato ad un ramo; il sapone non si vede più, è coperto dalle proprie bolle; la coperta con le sue strisce verticali ora ne ha alcune spezzate, altre oblique e si affaccia con una cresta da sopra il letto per guardare l’angolo un po’ malconcio del tappeto in terra, accartocciato da una scarpa.
Ho tutto il tempo per pulire e verificare le simmetrie, appaiare gli oggetti, riformulare gli spazi, calmare, tranquillizzare,
esorcizzare. Cerimoniali e rituali rasserenanti che sfociano in interminabili preparazioni ad eventi che così non accadono. Così
i calcoli, le previsioni, le regole, diventano aspettative inevitabilmente deluse.
In realtà appare tutto collegato e sono infinite le combinazioni che portano alla soluzione… mi stupisce che non ci arrivino gli
altri, che la logicità di questi eventi non conduca nessuno alla risposta. Il sovrapporsi degli episodi, la non casualità dei movimenti,
le parole che sembravano cadere e che invece io, fiduciosa, raccolgo tra i piedi dei passanti distratti, … è tutto legato, adesso,
in una fitta trama monocroma di relazioni. Da questo archivio apparentemente illogico di dati, ogni cosa prende volume e significato,
ma dubito che qualcuno riesca a decodificare il senso di certe scrupolose catalogazioni (forse lo invidio).
Il problema degli altri è la mia memoria. Nell’ostinata incertezza che la deduzione conclusiva sia realmente profonda e vera, resto
zitta, aspetto che qualcun altro o il caso si esprima e quando questo accade resto mortificata dal mio stesso silenzio. La maggior parte
delle intuizioni non servono a nulla: finito il duro lavoro di raccolta dati, composto l’ordine del passato, del presente e del futuro,
resta l’osservazione, estasiata, autocelebrativa (avvilente), di questa inutile struttura ed il perpetuo controllo della sua compostezza.
Fatica fisica nel costruire e smontare, pulire e lucidare, ma non è mai tutto a posto. Fatica mentale per un continuo ed insistente
ronzio nelle orecchie che suggerisce sempre nuove combinazioni, ritocchi, poiché sono infinite le correlazioni in ciò che ho composto,
questo significa non staccare la spina, mai. Perché il mondo ruota attorno al dubbio e necessita di costante manutenzione, aggiornamenti,
bisogna pianificare gli eventi, le cose, le persone, fare attenzione, attenzione, attenzione, all’errore, all’imprevisto, all’omissione.
Dunque, non posso fare altro che restare qui, a sbrogliare la matassa appena intrecciata, da sola, visto che nessuno riuscirebbe a
farlo in modo preciso, perfetto e coscienzioso, visto che nessuno resterà accanto a me (alla mia ossessione) più del necessario.
In questa anticamera trascorro il tempo, ripiegandolo, come fosse seta, evitando che possa stropicciarsi, e lo ripongo accuratamente
dentro al cassetto… Sono sicura di averlo posato proprio qui, non è possibile, L’hanno spostato, come faccio? Non sopporto l’idea che
qualcuno me l’abbia perso, inutilmente.
Per fortuna lo trovo sempre un po’ di tempo nuovo, per lasciarmi corrodere, dall’esterno, dall’interno, dall’avvenuto, dall’avvenire,
mantenendo comunque il controllo, mantenendo comunque la difesa, immersa in uno stato di disagio permanente, con le uscite bloccate
dalle mie stesse mani, mentre fuori tutto scorre normalmente, mescolandosi a se stesso, in modo fluido, biologicamente corretto, naturale,
irrazionale, così come dovrebbe essere.
Vitaldo Conte, testo in catalogo "Anancasmo", Catania, 2004:
La creatività ultima ricerca, sempre più, rapporti contaminanti e di fusione con i generi e le tecniche di ogni espressione d’arte e con
l’esistenza stessa: assume, cioè, “maschere” transestiche e identità erranti.
La poetica fotografica è uno dei linguaggi che maggiormente ha debordato, negli ultimi anni, sia per le nuove possibilità tecnico-mediali
offerte e sia per una spiccata evoluzione, dalla propria “linea di confine”. Diviene progetto psico-mentale e percorso artistico
borderline, naturalmente inclini (senza più alcuna censura) a riflettere sui perturbanti interni dell’autore, che ne an-nota
catarticamente i passaggi come se fossero momenti di una autoterapia.
Una foto, soprattutto quella “monocroma” del bianco-nero o della dissolvenza estrema, può costituire “immagine” puntuale e “storica”
di registrazioni psichiche del soggetto, soprattutto nelle sue ossessioni oscure e anomale cerimonie private. Il lavoro di Roberta
Baldaro ne è un esempio sintomatico: le sue individuazioni di “presenze” naturali o di uso quotidiano, usurate dalle ombre dell’esistenza
e delle emozioni, scoprono imprevedibili itinerari con echi di angosce seriali, di impreviste deviazioni. L’artista vorrebbe ascoltare il
suono del rumore psichico. La ragnatela della scena-evento disperde segnali-relazioni, scriven-do un diario e spartito intimo, attraverso
un anancasmo fotografico che “si espone”, anche, per coinvolgere “l’altro”.
Fabrizio Nicosia, testo in catalogo "Anancasmo", Catania, 2004:
Mi piace pensare che l’arte, tra le molte altre possibilità, costituisca un tentativo di conoscere la propria esistenza e l’angoscia in
essa insita; un metodo per afferrarne il senso, costruire dei significati intimamente pregnanti e, al contempo, condivisibili intorno a
e circa essa (pur re-stando consapevoli dell’incompiutezza del risultato). Il mio intervento in questo progetto è consistito nel cercare
di favorire un processo di “spoliazione”, di “destrutturazione”, o meglio, di “de-significazione” delle “narrazioni” fornite dalla
psichiatria, dalla psicoanalisi e, più in generale, dei pensieri costruiti dal senso comune intorno ai concetti esplorati dall’artista
in questo lavoro. Lo scopo è di rendere possibile una loro “risignificazione incarnata” e quindi autentica ed originale, nella sua opera
(che poi ritengo altro non sia che una “filiazione” dell’artista e del suo “sentire”). Fobie, ossessioni o, più elegantemente, anancasmo
sono solo parole che forniscono un’etichetta o, nel migliore dei casi, un involucro ad un’esperienza vissuta che, pur se ampiamente
esplorata, resta unica e oscura in ognuno di noi e, pertanto, in cerca di nuove rela-zioni, di nuove significazioni.
Sono spesso critico nei confronti di quella psicologia che cerca di fagocitare, “psicopatologizzandola”, ogni produzione artistica e,
con essa, il suo autore (che tra l’altro non ha chiesto nessuna psicoterapia!), perciò non scriverò nulla intorno a tali questioni.
in situazioni come questa preferisco, piuttosto, cercare di attivare le condizioni per aprire nuovi spazi mentali comuni che permettano,
nella reciprocità, di espandere la conoscenza fornendo (e fruendo di) occasioni di crescita scaturenti dalla possibilità di porsi in un
vertice diverso rispetto a quello assunto nelle nostre rispettive quotidianità. Analogamente non condivido quel tipo di produzione
“artistica” che insiste nel creare “ad arte” qualcosa che chiama “opera” senza mai “sporcarsi le mani”, senza mai mettere in gioco
se stessi e il proprio assetto esistenziale: l’impressione che ricevo da queste “pseudo-opere” è quella di creature senza vita, di
feticci posti come testimoni tesi ad ostentare il proprio vissuto di gran-diosità in vece della propria miseria... l’arte è altro:
implica sempre un inconscio.
Come scrive Donald Meltzer, l’esperienza estetica ha a che fare con l’intensità e la fascinazione che risulta dalla co-incidenza tra
sensazione ed emozione. E aggiungerei, specificando, tra l’essere affetto e l’emozionarsi con-fondendosi... in tal senso, non è l’artista
che va all’arte, ma il contrario... l’unica possibilità per lui è sapere attendere, avere fede e poi, “se questa capita dalle sue parti”,
lasciare che lo invada con la sua intensità, nella sua splendida informità lo confonda, lo inorridisca con la sua indifferente crudeltà,
per poi farlo godere cominciando a ritenerla, a farla diventare parte di sé e a sintetizzarla in ciò che ancora non è: l’opera e l’artista
protendendosi verso un divenire, per consegnarsi (restituirsi), non senza dolore, ad esso.
Rosa Anna Musumeci comunicato stampa mostra "Anancasmo", Catania, 2004:
L’esposizione di foto in B/N, di piccolo formato, mostra un continuum incalzante di immagini che formano un nastro lungo sette metri,
senza soluzione di continuità. La giovane artista catanese presenta, su invito della galleria Artecontemporanea, la sua prima personale.
L’installazione segue il percorso architettonico longitudinale di una delle pareti perimetrali della galleria: le opere fotografiche ci
indicano situazioni di “tensioni” visive in cui l’ordine è minacciato dal caos, che è condizione necessaria per soddisfare il desiderio
di ri-creare un nuovo ordine; di offrirsi ad una nuova fatica, ad un’altra sofferenza per un sublime istante di piacere. Il linguaggio
visivo sperimentato dalla Baldaro assume forza di significato nel progetto installativo: le foto esibite non seguono una cronologia di
eventi e di azioni. L’atemporalità delle immagini ne tiene rigorosamente celato l’ordine ossessivo di cui necessita l’archivio personale.
Emanuela Nicoletti, articolo “Arte e Critica”, Roma, 2006:
Roberta Baldaro si osserva. Si ispeziona attentamente. La sua ricerca “Anancasmo”, sinonimo di ossessione, assume i tratti del diario
psichico. L’attenzione riservata a se stessa si proietta poi all’esterno. Per “Altrove”, Baldaro, sceglie un luogo, registra ogni giorno,
per mesi, i comportamenti di persone, animali, cose, luce, vento, acqua, stagioni. Pone infine in rassegna i risultati di queste messe a
punto: veri identikit personali, una dopo l’altra senza soluzione di continuità le foto b/n di piccolo formato, la prima serie; di grande
formato, la seconda.
Silvia Boemi articolo “La Sicilia”, Catania, 2004:
I suoni del rumore psichico, nella personale di Roberta Baldaro, promettente artista catanese. Il linguaggio delle piccole foto in B/N,
trova piena veicolazione nel progetto installativo. Incalzante il ritmo delle immagini, esibite in una sequenza atemporale a nastro.
Nell’accezione psichiatrica, Anancasmo è sinonimo di ossessione. Attraverso l’anancasmo fotografico, Roberta Baldaro espone un archivio
personale di “tensioni” visive, minacciate dall’insidia dei caos e di “presenze” quotidiane, logorate dall’usura dell’esistenza.
Al vernissage: le musiche inedite di Maurizio Scaminante, le poesie di Fabrizio Cavallaro. A Fabrizio Nicosia e Vitaldo Conte si devono
i contributi scientifici.